Nono libro di Paolo Vettori
Continua il “viaggio” di Paolo Vettori nei territori dell’ex impero sovietico, un lungo viaggio che lo ha già visto sugli itinerari dell’Armenia e Nagorno-Karabakh, poi sul confine russo-polacco, tra Danzica e Kaliningrad, fino a giungere alla Moscova.

Questa “tappa” del viaggio ci racconta i territori e la gente della Georgia, paese a nord dell’Armenia e dell’Azerbaijan, confinante anche con la Turchia ed il Mar Nero, ultimo baluardo a nord verso la Russia. In realtà il viaggio si sviluppa in due tranches, una nella primavera del 2017 e l’altra nell’estate dello stesso anno.

Tutto ha inizio nella capitale T’bilisi. Il racconto, nello stile di Paolo Vettori, è serrato, ricco di appunti, osservazioni, note che riportano al lettore la bellezza e la ricchezza dei paesaggi e la grande umanità del popolo georgiano.

Pascal McLee

Viaggio in Georgiascheda del libro

Titolo Viaggio in Georgia tra memoria e futuro
Autore Paolo Vettori
Pubblicazione 2017
Editore Edizioni Helicon
Pagine 234 brossura
Prezzo  10,00 €
ISBN 
8864662642
88-6466-484-X
EAN 9788864664842
Info Narrativa - Cultura del Viaggio

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vettori paolo dante moscovaNato a Poppi il 30 Maggio 1948 e laureato in Scienze Politiche, all’Università di Pisa nel Novembre 1971, Paolo Vettori ha lavorato presso le strutture territoriali dal Ministero del Lavoro per circa 39 anni, dal 15 Novembre 1974 al 31 Maggio 2013, inizialmente come funzionario e quindi - dal 1° Gennaio 1987 sino al 31 Maggio 2013, data del pensionamento - come dirigente in varie strutture territoriali del Ministero del Lavoro, in Lombardia (Como, Sondrio, Brescia, Cremona, Mantova) in Emilia (Piacenza) e infine, dal Maggio 2000 al Maggio 2013, in qualità di direttore regionale del Lavoro della Liguria, a Genova.
Ha pubblicato le seguenti opera di narrativa: “Chopin Express - Reportage dalla Polonia” Editore Mauro Baroni, Viareggio, 1997; “L’ultima estate di pace” L’autore Libri, Firenze, 1999; “Isola Calva e dintorni – lettere dal Pianeta Giustizia” Edimet Edizioni, Brescia, 2002; “Faccia a faccia con l’ultimo sbirro di Stalin” Edizioni Albatros-Il Filo Viterbo, 2011; “Diario di un burocrate per caso” Giovane Holden Edizioni, Viareggio, 2013; “Yerevan/Stepanakert - Ai confini dell’ex impero sovietico”, Edizioni Helicon, Arezzo, 2014; Kaliningrad, Danzica e dintorni - Viaggio sul confine russo-polacco, Edizioni Helicon, Arezzo, 2015, Dante sulle rive della Moscova, Edizioni Helicon, Arezzo, 2016.

 

incipit


Viaggio in Georgia
tra memoria e futuro

Mosca / T'bilisi, 25 Aprile 2017 

Primo viaggio nelle terre georgiane, ancora avvolte - ai miei occhi - da un alone di mistero, nel quale si intrecciano lontanissime memorie storiche, risalenti addirittura al mito di Giasone e dei suoi “argonauti”, con alcune delle pagine più controverse della Storia dell’ultimo secolo, dalla lunga dittatura del georgiano Stalin (a cui Gori, sua città natale, continua a dedicare un museo, meta di incessanti pellegrinaggi da parte degli ancora numerosi “orfani della patria sovietica”) sino agli eventi drammatici seguiti alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, con gli inevitabili sussulti e la sanguinosa scia di conflitti locali, che proprio sulle montagne del Caucaso hanno avuto il loro epicentro.
Quando, all’inizio di quest’anno, mi sono imbarcato in questa nuova avventura, ho dovuto anzitutto decidere l’itinerario da seguire.
Ho volutamente scartato la scelta più semplice ed economicamente più conveniente - ovvero il volo Wizz Air che, in poco più di 3 ore, mi avrebbe portato da Milano Malpensa direttamente nel cuore della Georgia, a Kutaisi - per puntare invece su un percorso assai più tortuoso, con sosta di un paio di giorni a Mosca e successivo volo per Tblisi.
Arrivare in Georgia attraverso Mosca voleva dire, per me, entrare subito nel vivo della questione più delicata, e cioè il difficile rapporto con il potente vicino, dalla cui ingombrante “protezione” questo piccolo Paese, stretto tra le montagne del Caucaso e il Mar Nero, è riuscito ad affrancarsi solo nel 2003, grazie a quella che è passata alla storia come “la rivoluzione delle rose”, pagando però, a distanza di appena 5 anni, un prezzo pesante, con l’intervento armato russo dell’agosto 2008 nell’Ossezia del Sud.
E così eccomi, stamattina, all’Hotel Sputnik di Mosca, di nuovo con le valige in mano.
Mi fermo a colazione con Alessandro ed una simpatica coppia di suoi amici bresciani, Bianca ed Alberto, con i quali ho condiviso questa breve tappa in una città che riserva sempre delle sorprese e dei tesori da scoprire, anche a chi, come me, è ormai di casa, da queste parti.
Alessandro e i suoi amici mi appaiono entusiasti per questo primo assaggio di una metropoli del tutto sconosciuta (almeno per Alessandro ed Alberto) e si apprestano a rientrare al lavoro domani (dopo il “ponte” del 25 aprile) con l’intenzione di farvi ritorno, magari in estate.
Il loro volo, per Orio al Serio, è però previsto per il primo pomeriggio, dall’aeroporto di Vnukovo, mentre il “mio” aereo decollerà, alle due in punto, da Domodoevo, il terzo scalo della capitale russa, in cui si concentrano molti dei voli diretti ad est, soprattutto verso la Siberia ma anche il Caucaso e l’Asia Centrale ex-sovietica.
Visto che manca ancora molto tempo alla partenza, rinuncio al taxi per avvalermi, ancora una volta, dell’efficiente rete dei trasporti pubblici, vero vanto della capitale russa.
In trolleybus, prima, e quindi in “metro” raggiungo velocemente la Stazione Paveleskaya, da dove parte l’aeroexpress, il trenino per Domodoevo (ce ne sono altri due, con lo stesso nome, che collegano la rete della metropolitana con gli Aeroporti di Vnukovo e Sheremetevo).
A mezzogiorno meno un quarto (con oltre due ore di anticipo rispetto alla partenza) posso fare il check - in agli sportelli della compagnia che gestisce il volo, la “Siberia Airlines”, ramo “siberiano” della compagnia di bandiera russa, l’Aeroflot.
Superato un secondo controllo “al metaldetector” (dopo quello all’ingresso del terminal) mi metto in fila per il controllo passaporti.
I controlli procedono con una lentezza esasperante, al punto che mi lascio assalire dal timore di non arrivare in tempo al “gate”.
Mi rivolgo ad un russo, sulla quarantina, che mastica un po’ di Inglese.
“Non c’è nessun pericolo di perdere l’aereo - mi rassicura lui - tanto più che questi ritardi sono abbastanza normali, qua; e infatti - come puoi vedere - nessuno si lamenta”.
Provo a fargli qualche domanda, giusto per passare il tempo, ma lui rimane molto sul vago; si limita a dire che sta andando in Uzbekistan, per lavoro.
Finalmente, verso le 13,30 - più o meno all’ora prevista per la chiusura del “gate” - arriva il mio turno.
Una giovane poliziotta mi squadra attentamente, mentre gira e rigira tra le mani il passaporto.
“Perché sul suo passaporto ci sono molti visti russi?” mi chiede.
“Ho un’amica Italiana che lavora a Mosca” provo a rispondere, nel mio russo piuttosto sgrammaticato.
Mentre mi avvio al “gate”, non riesco a trattenere un respiro di sollievo, un respiro liberatorio, come se il piglio “inquisitorio” di quella ragazza in uniforme mi avesse riportato indietro di 40 anni, al tempo dei miei viaggi “oltrecortina”.
Sbrigate rapidamente le formalità d’imbarco, salgo anch’io sulla navetta ma dobbiamo attendere ancora un buon quarto d’ora, sino all’arrivo dell’ultimo passeggero, prima di poter raggiungere l’aereo.
Superata la fase del decollo (che per me continua a rappresentare un momento di forte ansia), provo ad imbastire una conversazione, in Russo, con il mio vicino, un uomo ancora relativamente giovane, dai tratti vagamente mediorientali, accentuati da un vistoso paio di baffi nerissimi.
“Mi sono trasferito da qualche anno per lavoro a Novosibirsk, con tutta la mia famiglia, però un paio di volte all’anno vado a trovare mio padre che è rimasto nella nostra città, Akhaltsikhe”.
“In Georgia?”, provo a chiedergli.
“Si, nel sud della Georgia, vicino al confine con la Turchia; anche se noi - aggiunge - siamo armeni, come molti abitanti della nostra città”.
“Perché hai deciso di lasciare la Georgia?”, lo incalzo io.
“Esclusivamente per il lavoro, perché in Siberia, grazie ad un mio parente, ho potuto trovare un lavoro migliore e più sicuro”, replica lui, senza esitazioni, confermando implicitamente quanto ero riuscito a leggere sulla stampa specializzata, circa la presenza, nel Paese, di significative minoranze etniche (soprattutto armeni ed azeri) con un livello di integrazione nel complesso soddisfacente, specie se raffrontato con la situazione del due Stati confinanti (Azerbaigian ed Armenia) che hanno registrato nella prima metà degli anni ‘90, a seguito del conflitto nel Nagorno-Karabakh, un massiccio esodo di armeni da Baku e da tutto l’Azerbaijan, nonché di azeri dall’Armenia, oltre che dai territori occupati dall’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh.
Mi piacerebbe approfondire l’argomento, ma la mia conoscenza del Russo non mi consente di addentrarmi in discorsi troppo complessi, per cui provo ad appisolarmi.
“Manca molto all’arrivo a Tblisi?”, chiedo al mio compagno di viaggio, quando riapro gli occhi.
“Mezz’ora o forse anche meno, siamo già sulle montagne del Grande Caucaso”, risponde lui, indicando il panorama mozzafiato, dominato da un rapido succedersi di cime innevate, che si riesce ad intravedere dal finestrino.
Man mano che l’aereo si avvicina a Tblisi, il bianco delle vette caucasiche cede il posto al verde dei boschi.
L’aereo si posa dolcemente sulla pista, alle sei in punto (ora di Tblisi, un’ora avanti rispetto a Mosca e due rispetto all’ora legale in Italia), accolto da un venticello primaverile, che, dopo il freddo di Mosca, mi fa sentire di nuovo a casa.
Anche le formalità di ingresso (controllo passaporti e dogana) mi appaiono particolarmente blande, forse perché sono reduce dai minuziosi controlli all’aeroporto di Mosca.
Intanto, nell’area degli arrivi, mentre attendo il mio amico georgiano, che si è offerto di venirmi a prendere in Aeroporto, mi godo l’atmosfera di grande cordialità - quasi familiare, mi verrebbe da definirla - che contraddistingue questo scalo aereo, facendomelo apparire assai più vicino a noi di quanto potrebbe suggerire la distanza geografica.
Questo primo contatto con la città mi riporta ad un articolo - scovato, per caso, su internet nel gennaio di quest’anno – intitolato “Le città invisibili:11 città bellissime, tutte da scoprire”, un titolo particolarmente evocativo, per un appassionato lettore di Italo Calvino, quale io sono, non da oggi.
Mi aveva molto colpito la scelta dell’autrice dell’articolo (Antonella Finucci) di dedicare alla capitale georgiana il capitolo su “le città e la memoria”.
Ripenso alla celebre frase di Calvino (“Di una città non godi le sette o settantasette meraviglie ma la risposta che dà ad una Tua domanda”) e mi viene da interrogarmi sulla risposta che attendo dal viaggio che ho appena intrapreso. Probabilmente (mi dico) spero di poter capire meglio quale futuro si prepari per questo Paese, la cui “storia è sempre stata dominata dalla geografia”, ovvero dalla sua posizione geografica, alla confluenza tra Europa ed Asia, dove, da tempo immemorabile, si sono incontrate (o più spesso scontrate) le grandi civiltà dei due continenti.
“Welcome to Georgia, Paolo!”.
Mi volto di scatto verso il mio amico georgiano, Kakhà, appena arrivato, che mi accoglie nella sua terra con un semplice, caloroso, abbraccio.
È un uomo di mezza età, che riesce a coniugare la schiettezza e l’innato senso di ospitalità della gente georgiana con una notevole capacità di apertura al mondo esterno, frutto, con ogni probabilità, delle sue molteplici e sempre molto qualificate esperienze professionali (attualmente è dirigente della filiale di Tbilisi di una multinazionale tedesca).
L’ho conosciuto la scorsa estate al mare, vicino Catania, e sono rimasto immediatamente colpito da questo insolito mix di apertura all’esterno ed attaccamento alle proprie radici, che sembra caratterizzare non solo lui ma anche la moglie, una bella signora, sempre molto curata, che insegna chimica all’Università di Tblisi.
“Sei stanco?”, mi chiede.
“Non particolarmente”.
“Allora passiamo dall’albergo e poi ti porto ad assaggiare la nostra cucina”.

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