“Viaggio in Georgia tra memoria e futuro” è un piacevole assaggio di quello che sarà l’ennesimo libro di Paolo Vettori, che ci auguriamo vivamente di poter leggere entro la fine di questo 2017.

Anche da queste prime pagine traspare la caratteristica fondamentale dell’autore, ovvero la certosina descrizione di personaggi e luoghi e la zelante curiosità di uno studioso profondamente affascinato dalla cultura, dalle tradizioni e dalle vicissitudini storiche dei popoli dell'Est europeo.

Paolo Vettori si avventura questa volta in Georgia attraverso Mosca, entrando immediatamente nel vivo della questione più delicata, e cioè il difficile rapporto con il potente vicino, “Madre” Russia, dalla cui ingombrante “protezione” questo piccolo Paese, stretto tra le montagne del Caucaso e il Mar Nero, è riuscito ad affrancarsi solo nel 2003, grazie a quella che è passata alla storia come “la rivoluzione delle rose”, pagando però, a distanza di appena 5 anni, un prezzo pesante, con l’intervento armato russo dell’agosto 2008 nell’Ossezia del Sud.

Un viaggio, il suo, per mondi non del tutto “turistici”, proponendosi di rilevare e raccontare i dettagli della Storia di quei luoghi, al fine di svelare un mondo, non sempre ostico e inaccettabile, così abbiamo appreso sui banchi di scuola

Pascal McLee


Mosca / Tbilisi, 25 Aprile 2017

Primo viaggio nelle terre georgiane, ancora avvolte - ai miei occhi - da un alone di mistero, nel quale si intrecciano lontanissime memorie storiche, risalenti addirittura al mito di Giasone e dei suoi “argonauti”, con alcune delle pagine più controverse della Storia dell’ultimo secolo, dalla lunga dittatura del georgiano Stalin (a cui Gory, sua città natale, continua a dedicare un museo, meta di incessanti pellegrinaggi da parte degli ancora numerosi “orfani della patria sovietica”) sino agli eventi drammatici seguiti alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, con gli inevitabili sussulti e la sanguinosa scia di conflitti locali, che proprio sulle montagne del Caucaso hanno avuto il loro epicentro.

Quando, all’inizio di quest’anno, mi sono imbarcato in questa nuova avventura, ho dovuto anzitutto decidere l’itinerario da seguire.

Ho volutamente scartato la scelta più semplice ed economicamente più conveniente - ovvero il volo WizzAir che, in poco più di 3 ore, mi avrebbe portato da Milano Malpensa direttamente nel cuore della Georgia, a Kutaisi - per puntare invece su un percorso assai più tortuoso, con sosta di un paio di giorni a Mosca e successivo volo per Tbilisi.

Arrivare in Georgia attraverso Mosca voleva dire, per me, entrare subito nel vivo della questione più delicata, e cioè il difficile rapporto con il potente vicino, dalla cui ingombrante “protezione” questo piccolo Paese, stretto tra le montagne del Caucaso e il Mar Nero, è riuscito ad affrancarsi solo nel 2003, grazie a quella che è passata alla storia come “la rivoluzione delle rose”, pagando però, a distanza di appena 5 anni, un prezzo pesante, con l’intervento armato russo dell’agosto 2008 nell’Ossezia del Sud.

E così eccomi, stamattina, all’Hotel Sputnik di Mosca, di nuovo con le valige in mano.

Mi fermo a colazione con Alessandro ed una simpatica coppia di suoi amici bresciani, Bianca ed Alberto, con quali ho condiviso questa breve tappa in una città che riserva sempre delle sorprese e dei tesori da scoprire, anche a chi, come me, è ormai di casa, da queste parti.

Alessandro e i suoi amici mi appaiono entusiasti per questo primo assaggio di una metropoli del tutto sconosciuta (almeno per Alessandro ed Alberto) e si apprestano a rientrare al lavoro domani (dopo il “ponte” del 25 aprile) con l’intenzione di farvi ritorno, magari in estate.

Il loro volo, per Orio al Serio, è però previsto per il primo pomeriggio, dall’aeroporto di Vnukovo, mentre il “mio” aereo decollerà, alle due in punto, da Domodoevo, il terzo scalo della capitale russa, in cui si concentrano molti dei voli diretti ad est, soprattutto verso la Siberia ma anche il Caucaso e l’Asia Centrale ex - sovietica.

Visto che manca ancora molto tempo alla partenza, rinuncio al taxi per avvalermi, ancora una volta, dell’efficiente rete dei trasporti pubblici, vero vanto della capitale russa.

In trolleybus, prima, e quindi in “metro” raggiungo velocemente la Stazione Paveleskaya, da dove parte l’aeroexpress, il trenino per Domodoevo (ce ne sono altri due, con lo stesso nome, che collegano la rete della metropolitana con gli Aeroporti di Vnukovo e Sheremetevo).

A mezzogiorno meno un quarto (con oltre due ore di anticipo rispetto alla partenza) posso fare il check - in agli sportelli della compagnia che gestisce il volo, la “Siberia Airlines”, ramo “siberiano” della compagnia di bandiera russa, l’Aeroflot.

Superato un secondo controllo “al metaldetector” (dopo quello all’ingresso del terminal) mi metto in fila per il controllo passaporti.

I controlli procedono con una lentezza esasperante, al punto che mi lascio assalire dal timore di non arrivare in tempo al “gate”.

Mi rivolgo ad un russo, sulla quarantina, che mastica un po’ di Inglese.

“Non c’è nessun pericolo di perdere l’aereo - mi rassicura lui - tanto più che questi ritardi sono abbastanza normali, qua; e infatti - come puoi vedere - nessuno si lamenta”.

Provo a fargli qualche domanda, giusto per passare il tempo, ma lui rimane molto sul vago; si limita a dire che sta andando in Uzbekistan, per lavoro.

Finalmente, verso le 13,30 - più o meno all’ora prevista per la chiusura del “gate” - arriva il mio turno.

Una giovane poliziotta mi squadra attentamente, mentre gira e rigira tra le mani il passaporto.

“Perché sul suo passaporto ci sono molti visti russi?” mi chiede.

“Ho un’amica Italiana che lavora a Mosca” provo a rispondere, nel mio russo piuttosto sgrammaticato.

Mentre mi avvio al “gate”, non riesco a trattenere un respiro di sollievo, un respiro liberatorio, come se il piglio “inquisitorio” di quella ragazza in uniforme mi avesse riportato indietro di 40 anni, al tempo dei miei viaggi “oltrecortina”.

Sbrigate rapidamente le formalità d’imbarco, salgo anch’io sulla navetta ma dobbiamo attendere ancora un buon quarto d’ora, sino all’arrivo dell’ultimo passeggero, prima di poter raggiungere l’aereo.

Superata la fase del decollo (che per me continua a rappresentare un momento di forte ansia), provo ad imbastire una conversazione, in Russo, con il mio vicino, un uomo ancora relativamente giovane, dai tratti vagamente mediorientali, accentuati da un vistoso paio di baffi nerissimi.

“Mi sono trasferito da qualche anno per lavoro a Novosibirsk, con tutta la mia famiglia, però un paio di volte all’anno vado a trovare mio padre che è rimasto nella nostra città, Akhaltsikhe”.

“In Georgia?”, provo a chiedergli.

“Si, nel sud della Georgia, vicino al confine con la Turchia; anche se noi - aggiunge - siamo armeni, come molti abitanti della nostra città”.

“Perché hai deciso di lasciare la Georgia?”, lo incalzo io.

“Esclusivamente per il lavoro, perché in Siberia, grazie ad un mio parente, ho potuto trovare un lavoro migliore e più sicuro”, replica lui, senza esitazioni, confermando implicitamente quanto ero riuscito a leggere sulla stampa specializzata, circa la presenza, nel Paese, di significative minoranze etniche (soprattutto armeni ed azeri) con un livello di integrazione nel complesso soddisfacente, specie se raffrontato con la situazione del due Stati confinanti (Azerbaigian ed Armenia) che hanno registrato nella prima metà degli anni ‘90, a seguito del conflitto nel Nagorno - Karabakh, un massiccio esodo di armeni da Baku e da tutto l’Azerbaijan, nonché di azeri dall’Armenia, oltre che dai territori occupati dall’autoproclamata repubblica del Nagorno - Karabakh.

Mi piacerebbe approfondire l’argomento, ma la mia conoscenza del Russo non mi consente di addentrarmi in discorsi troppo complessi, per cui provo ad appisolarmi.

“Manca molto all’arrivo a Tbilisi?”, chiedo al mio compagno di viaggio, quando riapro gli occhi.

“Mezz’ora o forse anche meno, siamo già sulle montagne del Grande Caucaso”, risponde lui, indicando il panorama mozzafiato, dominato da un rapido succedersi di cime innevate, che si riesce ad intravedere dal finestrino.

Man mano che l’aereo si avvicina a Tbilisi, il bianco delle vette caucasiche cede il posto al verde dei boschi.

L’aereo si posa dolcemente sulla pista, alle sei in punto (ora di Tbilisi, un’ora avanti rispetto a Mosca e due rispetto all’ora legale in Italia), accolto da un venticello primaverile, che, dopo il freddo di Mosca, mi fa sentire di nuovo a casa.

Anche le formalità di ingresso (controllo passaporti e dogana) mi appaiono particolarmente blande, forse perché sono reduce dai minuziosi controlli all’aeroporto di Mosca...;